Quella volta che comprai un fallo vibrante

La prima volta che andai in un sexy shop fu per accompagnare un mio amico a pagare l’affitto di casa. Era un’estate afosa milanese e Maciachini era ancora un quartiere intatto e sporco, che resisteva e si salvava dalle lucide radiazioni del centro città.
Il padrone di casa, nonché gestore del sexy shop, riceveva i suoi affittuari tra pink-pelose manette, tutine in latex, falli vaginali, plug-in anali e paddle per lo spanking. Quel giorno tardava e per ingannare il tempo io e il mio amico ci perdemmo a curiosare tra gli articoli in vendita; noi ai tempi giovani esploratori del sesso – contro la vergogna, il pudore, la monogamia, l’eterosessualità e la norma –  glamour dissidenti, ci sentivamo compiaciuti e a nostro agio. La mia curiosità venne catturata da piccole palline magiche al tempo a me ignote. Scoprii soltanto successivamente, a mie spese, il loro corretto utilizzo.

Qualche mese dopo comprai un vibratore a forma di fallo, dalle fattezze verosimili. Dimensioni medie, eretto,tinta carne, cappella di soddisfacente larghezza e, tocco di classe, sottili venature che lo abbracciavano in tutta la sua estensione. Anche in quel caso mi ero fatta accompagnare da un amico, paziente e pure con la patente, che mi prestò i cinque euro mancanti per coprire il prezzo di quel costoso cazzo in vendita.

Non so se considerare quella come la mia iniziazione all’uso dei sex toys o se anticiparla a qualche anno prima, quando mi cimentavo in usi non convenzionali dello spazzino elettrico.  Tant’è che iniziai ad avvicinare quel fallo vibrante di gomma alla mia vagina, non senza diffidenza e riluttanza. Dopo anni di accogliente carne calda non è facile infilarsi nella vagina un aggegio di silicone che vibra. La prima volta è necessario fare uno sforzo, accettare l’artificio sul proprio corpo. Un atto che per me non ebbe niente a che fare con la pulsione erotica o il bisogno sessuale, bensì con la curiosità e la fame di esperienza. Pendeva inoltre su  di me l’imperativo morale di usare il prodotto acquistato, per cui avevo speso fior di quattrini.

Qualche anno dopo fu la volta del plug-in anale. Era rosa shocking e gommoso, pareva una caramella e toccandolo veniva voglia di addentarlo, di stringerlo con forza tra i denti. Fu un saggio acquisto, funzionale e propedeutico a nuovi piaceri che arrivarono molti anni dopo.
Il rosa shocking forse èun colore che mi piace per i sex toys, perché di medesima carnagione è anche Nessy, la nuova arrivata (il primo sex toys di genere femminile della mia, scarsa , collezione). Nonostante porti il nome da eroina di una commedia fantascientifica, e le sia stato affibbiato il nomignolo rabbit,  Nessy ha una consistenza morbida e una superficie liscia, quasi vellutata. Acquistato online sul sito del sexy shop pleasure room, Nessy è sicuramente lo strumento di piacere più sofisticato che possiedo. Ha ben due teste, cosa che la rende buffa ma graziosa, tra di loro perfettamente coordinate: una si occupa della vagina, mentre l’altra contemporaneamente pensa al clitoride. Vibra, vibra poco, vibra tanto, vibra all’impazzata, vibra al ritmo di techno: Nessy ha ben dieci diversi ritmi e velocità, da fare invidia a un grosso sound system.

In arrivo il dizionario più sconcio che ci sia

Cari amici,

vi comunico felicemente che da domani prenderà avvio il nuovo progetto #ildizionarioerotico!

Un viaggio alla scoperta delle etimologie più piccanti, che, con una parola zozza a settimana, andrà a formare il dizionario più impudico che c’è!

Cosa si nasconde dietro la parola “fica”? Da dove deriva l’espressione “cunnilingus”? Per gli amanti della lingua e di tutti i suoi usi, seguite #ildizionarioerotico sul mio canale instagram: https://www.instagram.com/luccioladellaribalta/?hl=it

[per chi volesse scoprire la storia e l’etimologia di qualche parola sconcia, scrivetemi in pvt e dedicherò la parola della settimana alla vostra proposta!]

 

#ildizionarioerotico

Fish&Chips 2018. Un weekend all’insegna del sesso!

La mia prima volta al Fish&Chips  fu nel 2017, alla seconda edizione,  grazie a qualche voce amica che me l’aveva suggerito. Quest’anno ho avuto il piacere di tornare e partecipare alla quarta edizione del Festival, conclusa qualche giorno fa, ritrovando una manifestazione cresciuta, più varia ma animata sempre  dalle stesse buone energie.

Il Fish&Chips è il festival internazionale di cinema erotico, con sede a Torino. Uno dei pochi presenti in Italia, insieme al’Hacker Porn Film Festival di Roma. Una manifestazione dai mille colori e attività: cortometraggi, lungometraggi, incontri, mostre, workshop e feste! Protagonista indiscussa è la sessualità, indagata in ogni suo anfratto. «Il sesso come scoperta, il sesso come necessità, il sesso come sovraesposto ma allo stesso tempo poco raccontato e spiegato

Ed è proprio questo il bello del Fish&Chips, che riesce ancora a dire  qualcosa di nuovo sul sesso, argomento ormai chiacchierato ovunque. Una quattro giorni di pura e massima libertà. E’ libertà di espressione e di sperimentazione, quella che ho visto al cinema Massimo tra una proiezione e l’altra e quella che ho respirato per le vie di Torino, negli spostamenti tra il BlahBlah e lo Spacenomore.

Purtroppo mi sono persa il vincitore di quest’anno, il film Sex Tape, del regista francese Antoine Desrosières, una commedia anticonvenzionale sullo slut shaming, la pratica di far sentire in colpa e vergognare una donna che si è abbandonata ad atti sessuali non tradizionali. Presentato a Cannes 2018, Sex Tape ha vinto quest’anno il premio miglior lungometraggio.

Ho avuto invece il piacere e la fortuna di vedere The Artist and the Pervert, vincitore del premio alla distribuzione CIELO- THE BODY OF SEX. Il documentario, girato da Beatrice Behn e Renè Gebhardt, racconta una storia d’amore bizzarra e colma di tenerezza, tra il noto compositore tedesco George Haas e l’attivista e kinky educator afroamericana Mollena. I due – che all’apparenza sono agli antipodi: lui biondo, slavato, silenzioso, sfuggente; lei scura,rumorosa, ingombrante – sono legati da un rapporto sadomaso, dove lui è il dominatore e lei la slave. Un rapporto di amore, di dedizione completa verso l’altro, che supera i limiti del tabù sessuale e razziale.

Dei cortometraggi in concorso, tra i quali ha vinto AFTER THE CONVERSATION di Renan Brandao, ho visto la proiezione CORTI XXX di sabato pomeriggio. Si passa da scene di crusing in un cimitero di Londra in Tribute, da quelle di voyeurismo in un luogo di battuage in Lemon Taste, a scene più intime e casalinghe, come quella di The End o di Triple P: Political Pussy Pounding. Degno di nota ho trovato il corto Scotch Egg di Bruce LaBruce, che ci mostra una donna etero con un desiderio un po’ particolare: fare sesso con un uomo gay. E quale luogo migliore se non un leather bar? Tra cuoio, fruste, fist fucking, la protagonista trova la sua dose di piacere.

Tantissime le iniziative interessanti a cui mi sarebbe piaciuto partecipare, partendo dal “Workshop sull’eiaculazione per fiche”, laboratorio ideato da Pornoterrorista, Diana J. Torres e dedicato alla ancora misteriosa pratica dello squirting; all’incontro sull’evoluzione del porno, per indagare l’evoluzione e i cambiamenti negli anni del genere pornografico.

Insomma, un weekend tutto all’insegna dell’eros, del sesso e della libertà!

 

 

Grisélidis Réal, la devota puttana rivoluzionaria

Una gabbia, un divano, lunghi vestiti da sera appesi alle pareti, una sedia e un tavolino. Si presenta così la scenografia dello spettacolo Grisélidis – Memorie di una prostituta di Coraly Zahonero, andato in scena al Teatro della Cooperativa di Milano la scorsa settimana.

Ecco Grisélidis, interpretata dall’attrice Serra Yilmaz, che con i suoi capelli azzurro acceso come i suoi occhi, sta china sul tavolo a leggere. Alza lo sguardo, lo punta al pubblico, scosta la sedia e si alza. Inizia così un lungo e tagliente monologo, tratto da una storia vera, quella di Grisélidis Réal, scrittrice, pittrice e prostituta militante di origine svizzera.

Nata nel 1929 da una famiglia dotta e benestante, madre insegnante e padre professore di greco antico, Grisélidis all’età di trent’anni inizia a lavorare in Germania come prostituta, per racimolare quei soldi che il lavoro di artista non sempre le assicurava.

Ribelle a una madre asfissiante, a una rigida educazione moralista, Grisélidis ha sempre combattuto gli stati di padronanza, lavorando sempre e solo per stessa: così per la scrittura, la pittura e la prostituzione. Serra Yilmaz, attingendo direttamente dallo scrittoio dell’artista, presta la voce a una  donna rivoluzionaria e colma di umanità.

Memorie di una prostituta getta uno sguardo raro ma prezioso sulla prostituzione, presentandocela come una forma di umanesimo: il sacrificio del sé per donare ad altri spicchi di felicità. Sembra che per Grisélidis, pur non nascondendo le difficoltà del meretricio – al punto da paragonarlo ai “lavori forzati” – prostituirsi equivalga a un’opera di bene, di salvezza universale. Se non ci fossero le prostitute a chi si potrebbero rivolgere quegli uomini soli, ai margini, immigrati, storpi, depressi? Chi offrirebbe loro ascolto, attenzione, accoglienza? Grisélidis si sente investita da una missione salvifica, che realizza nella sua feroce battaglia a favore della legalizzazione della prostituzione e continuando a offrire i suoi servigi orgogliosamente fino all’età di sessantasei anni.

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Il regime della gretta ignoranza

Scrivo queste parole, allibita, arrabbiata e profondamente triste.

Il 13 dicembre avevo allegramente segnato nella mia agenda l’appuntamento in Santeria Social Club di  Milano con la mostra “Porno per Bambini”, il progetto di un giovane artista brasiliano.

Incuriosita dall’insolito titolo, cercai di andare a fondo e ho trovato la pagina Instagram dell’artista (https://www.instagram.com/cecinestpasuneppborno/). Vignette ironiche, strampalate, dolci e simpatiche, sono apparse sul mio schermo. Quelle immagini mi hanno investita con una ventata di freschezza e leggerezza: l’amore e il sesso rappresentati nel loro aspetto più ludico, irriverente e comico. “Che progetto originale!”, ho subito pensato, tutta pimpante, pregustando già la serata della mostra.

Ieri sera Facebook mi avvisa che la mostra è stata annullata.
Oggi leggo che è uscito un articolo su Il Giornale che condanna l’evento.
Oggi scopro che innumerevoli persone, tra cui giornalisti e politici, hanno riversato fiumi di critiche e condanne contro il progetto:

“Pedopornografia!

Sdoganamento della Pedofilia!

Silenzio della società civile!

Esposizione di immagini volgari a sfondo sessuale in uno spazio pubblico!

Sesso libero tra adulti e bambini!

Degrado Mondialista!”

Queste incriminazioni, cieche e ignoranti, mi fanno doppiamente male. Nessuna di queste persone è andata oltre al titolo. Tutti hanno sentenziato, sputato, mandato minacce di morte, senza valicare il confine della superficie. Decretandosi come i perfetti rappresentanti della vuotezza odierna, incapaci di sostanza, di contenuto.  Di verità.

 

 

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Al di là del Caos. Pensieri sotto l’effetto Crash

Avete mai fatto un incidente stradale?
A me capitò all’età di quindici anni, un pomeriggio sul far dell’estate,  mentre cavalcavo il mio motorino, spavalda e su di giri per i tre mesi caldi e avventurosi che mi aspettavano.  All’improvviso comparse una macchina, che si piazzò lì davanti a me dove non doveva stare; lo scontro è stato inevitabile, un impatto forte e violento, la forza di un battito di ciglia che ha distrutto il motorino e ha fatto volare me dalla parte opposta della strada. Il motorino ferraglia accartocciata, io illesa con una micro frattura al pollice del piede destro.

Di quello scontro mi è rimasta impressa la violenza percepita con tutti i sensi meno che con la vista: sentii dentro al mio corpo la perdita di controllo, scorse nelle mie vene la velocità esorbitante. In un frangente di pochi secondi smisi di essere un corpo che cammina sulla terraferma, padrone di  sé e di ciò che lo circonda. Furono attimi in cui le membra si sovrapposero smodatamente e dolorosamente, lanciate in aria come una meteora incandescente. Diventai altro, smisi di comprendere, proiettata come un missile al di là del tempo, dello spazio, del limite tra cielo e terra. Tornai a essere solo e puro Caos. E in più sopravvissuta.

Non ripenso spesso a quell’incidente, ma la visione di Crash di Cronenberg l’ha richiamato alla memoria, riportando a galla anche zolle prima sommerse. E’ così irreale l’orizzonte sessual-meccanico proposto da Cronenberg? Crash mostra e fa vivere, e ri-vivere, quel Caos. Protagonisti sono corpi che sono stati fatti a pezzi dalla forza caotica, sono stati mutilati, handicappati, depotenziati ma sono sopravvissuti, e finché c’è una sopravvivenza ogni depotenziamento equivale a un potenziamento. Ogni scontro e mutilazione sprigiona pura energia sessuale, fonte di vita cui continuare ad abbeverarsi.
Ancora oggi mentre corro sulla strada – in macchina, in motorino, in bici –  mi trovo a pensare: “E se adesso non frenassi? Se adesso mi sfracellassi contro il camion davanti a me?”. È come con le vertigini, sono pensieri che ti solleticano il cervello e il sesso.

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Instaporn: a che cosa serve il porno nel 2018 se abbiamo Instagram?

Gironzolando e saltellando svogliatamente da un profilo all’altro di Ig, ho scoperto un secondo volto, neanche troppo celato, del social network: innumerevoli profili di ragazze giovanissime, alcune dichiaratamente minorenni, incentrati esclusivamente sull’esposizione del corpo, o meglio di alcune parti del  corpo. Tre per essere precisi: tette culo e faccino, quest’ultimo sempre sorridente-innocente-ammiccante oppure serio-intenso-provocatorio.

Sono tutte ragazze rigorosamente molto belle, giovani, dalla pelle morbida e elastica che viene voglia di accarezzare anche dallo schermo, dalle fattezze perfette e proporzionate. Un seno prosperoso ma sodo, un culo tondo, pronunciato ma mai troppo grosso.

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“Si farà sesso con i robot… ma io preferisco la carne”

Ho intervistato il fotografo Stefano Tieni, che da un po’ di tempo seguo; è stata una bella chiacchierata.

Ciao Stefano, ho trovato alcuni tuoi scatti davvero suggestivi… quando hai iniziato a fare foto e quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto?
«Ho iniziato a fare foto quando ero bambino. Erano i primi anni ’80 e al tempo “rubavo” la polaroid di mio padre per fare foto ai fiori soprattutto. Effettivamente i fiori mi piacciono tutt’ora, ma oggi li troverei un soggetto fotografico poco interessante… c’è molto altro da fotografare. La natura è anche oggi un punto di partenza, le locations sono per me una parte importantissima , ma devo sempre aggiungere un soggetto umano per rendere unico ed irripetibile quel momento».

«La spinta credo sia un qualcosa di inspiegabile, un fatto naturale… Evidentemente vuoi esprimerti e una voce interiore ti porta a fare delle foto, come mi ha portato a suonare la chitarra sin da bambino, a cantare più tardi e ad occuparmi di design. Questione di talento vero o presunto o di esigenza espressiva».

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A quali fotografi ti ispiri? E per quanto riguarda il cinema e il mondo dell’arte?
«Mi ispiro letteralmente a tutto… amo l’arte, vado spesso a visitare mostre e gallerie.
Il cinema è poi l’arte più completa, dato che unisce immagini, parole, suoni ecc.
Io credo che siano le emozioni ad ispirare, ti fai emozionare da una foto, da un scena di un film o da un dipinto e nel tuo cervello tutto queste contaminazioni si mischiano e danno vita magicamente a qualcosa di completamente nuovo, ispirato da altri eppure totalmente tuo. E ne esce una foto!».

«Nello specifico,parlando di grandi fotografi, il mio primo “amore” è stato sicuramente Helmut Newton, un uomo capace di creare situazioni surreali con un erotismo mai volgare. Mi colpirono molto gli scatti per un calendario intorno al ’93.
Aggiungo il provocatore Richard Kern e David LaChapelle. L’ultimo non mi piaceva, pensavo che le sue foto fossero frutto di un grande lavoro di computer grafica, poi ho visto una sua mostra ed ho scoperto che in realtà costruisce dei set reali, con una consapevolezza straordinaria».
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Una morte lieve e silenziosa

Ho sempre voluto svegliarmi con il tuo fiato.
Ho sempre voluto forzare le tue palpebre per
scivolare dentro ai tuoi sogni.
Ricordo la forza del mio abbraccio nel
sentirti stretto fisso
inchiodato alla mia pelle.

È il tempo dell’immortalità
della sicurezza a rendere così
gelida la mia bocca?
Io non ho mai pronunciato il tuo nome
ad alta voce.

Io mi ricordo la paura la perdizione
nella tua voce
nel tuo enigma
nel tuo piede nascosto sempre
accuratamente.

Stiamo semplicemente morendo?
Esaurendo le sensazioni dei
nostri attimi consumati
nei cucchiai di miele mattutini?

Nel dire ciò che non devi fare
nelle leccate di palle
di ani
di prostate sconfitte
dall’inesauribile fonte della quotidianità?

Una morte lieve e silenziosa di
ogni nostro gesto
consumato
dalla falsità delle cose dette
dalla falsità delle cose non dette,
dagli inganni di fasulle verità.

Astrologie notturne

Strambo, ma solo oggi, in un istante, mi è stato di colpo chiaro del perché amo il sesso.
È l’unico luogo all’interno di una relazione in cui riesco a essere totalmente libera, in cui scompaiono le parole dette e quelle non dette, i toni, i gesti, gli sguardi sbagliati. Diventa l’espressione più totalizzante, più sincera e più pulita.
È lasciare parlare il corpo e la mente senza interfacce, senza filtri. E soprattutto senza paura.
Armonia, anche se è violento, scordinato, urlato.

Da giorni mi torturo con il bisogno di possesso in cui spesso, sempre, si frantuma il mio desiderio di relazione, di contatto. Mi dicono che è un prodotto della logica capitalista: il dominio, la proprietà privata, il possesso di cose, e poi di riflesso anche di persone. Come faccio a sfuggirci? Ditemelo voi, io non trovo soluzione in me.

Vorrei combattere, liberarmi da molti ostacoli. Il possesso, la paura e le difficoltà di comunicazione.
Vorrei che fosse facile relazionarsi come è facile fare sesso.

Buonanotte